La missione Futura ha così ufficialmente preso il via, dopo il lancio perfetto avvenuto ieri alle 22,01 ( ora italiana) dal cosmodromo di Bajkonour, nel Kazakistan, luogo mitico per ogni astronauta, da cui è partito Jurij Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio nel 1961. È la seconda missione di lunga durata dell’Agenzia Spaziale Italiana, che vedrà protagonista AstroSamantha, il nome della Cristoforetti su Twitter. Trentasette anni, milanese, ingegnere, astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea, Samantha è anche capitano pilota dell’Aeronautica Militare.
«Mi dispiace, sono fuori dal pianeta per un po’»
«Mi dispiace, sono fuori dal pianeta per un po’». È la risposta automatica che da ieri si riceve dalla posta elettronica di Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana a superare i confini della terra. «Vado nello spazio con tutta me stessa, con tutto quello che sono e di cui ho fatto esperienza, e porto certamente con me ogni persona che ho incontrato».
Alla mamma: è andato tutto benissimo
«È andato tutto benissimo, abbiamo visto immagini spettacolari, la prima alba e le stelle», ha riferito Samantha Cristoforetti alla mamma, nel suo primo collegamento dalla Stazione spaziale internazionale (Iss) con il centro di controllo della missione a Mosca. Felice dell’accoglienza affettuosa che ha trovato a bordo, Samantha ha raccontato alla mamma: «Qui ci hanno accolti con una cena, o forse un pranzo, o la colazione … non saprei, ma è tutto bellissimo». La prima cosa che ha gradito è stata dell’acqua, succhiata da una cannuccia collegata a un sacchetto, come è d’obbligo in orbita.
La partenza della prima donna italiana astronauta «è una grande emozione», ha detto il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini dalla sede dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) di Tor Vergata, alle porte di Roma, dove in tantissimi hanno seguito il lancio della missione Futura. «È il risultato della grande attività esercitata dall’Italia in campo spaziale, che ha portato il nostro Paese ad avere un ruolo di leadership in questo settore».
Italiana spaziale
Samantha Cristoforetti è partita per sei mesi in missione sulla Stazione Spaziale Internazionale. Così l’Italia cerca di tenere il passo della rinata corsa allo spazio
Samantha Cristoforetti ha iniziato la sua lunga missione, sei mesi circa, nella Iss, la Stazione Spaziale Internazionale, settima nella lista degli astronauti italiani. Un breve viaggio nella capsula russa Soyuz, un vecchio e scomodissimo cavallo di battaglia la cui concezione risale ai gloriosi anni ’60 e che attualmente è l’unico mezzo per portare equipaggi alla Iss. Qualche giorno per acclimatarsi dopo l’arrivo e poi il via alla nutrita serie di esperimenti cui l’astronauta italiana parteciperà, o addirittura si sottoporrà personalmente.
L’ottima comunicazione impostata nel caso della Cristoforetti dalle Agenzie spaziali europea e italiana ce l’ha fatta conoscere da tempo, quasi dal momento in cui è stata scelta fra 8500 candidati nel 2009. Basta dire che @AstroSamantha ha 83.000 appassionati follower su Twitter, molti commentatori su blog e si avvia a battere il record di Parmitano, @AstroLuca, che peraltro ora fa il tifo sui social per la collega.
Giustamente, come è successo per ogni astronauta delle varie nazioni che partecipano al programma Iss, anche alla Cristoforetti tocca il compito di fare da ambasciatore del bello e buono del suo Paese, e quindi ecco il cibo italiano che appare, opportunamente trattato, per questo turno sulla Stazione assieme al caffè espresso. Visto che l’Expo milanese è alle porte certamente la scelta è opportuna. Altrettanto la nostra astronauta, che da un punto di vista formale è comunque europea, ha un programma intensissimo di una ventina di esperimenti importanti, tutti italiani e quasi tutti collegati alla mancanza di gravità. La condizione del corpo umano, in particolare femminile, è ancora molto da studiare, se si vuole andare nello spazio profondo, per Marte ad esempio occorrono almeno sei mesi.
Quello più propagandato, assieme alla prima stampante 3D in orbita, è però la produzione del caffè espresso e altre bevande calde come tisane o tea, con una macchina speciale di produzione italiana. Si chiama ISSpresso e nasce da un’idea di due aziende italiane – Argotec e Lavazza – in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana, l’idea può far sorridere, ma è invece un bel problema se ci si pensa un attimo: al bar il caffè scende e lo fa, anche se non ci abbiamo mai pensato, solo perché c’è la gravità, in orbita è un’altra storia e bisogna sperimentare un altro modo, anche per berlo. La tazzina, che diciamocelo se ben calda e bianca fa parte del piacere di bere un buon caffè, lì a 400 chilometri di altezza te la scordi anche perché il liquido, bollente altrimenti che caffè è, galleggia nel vuoto. Per farla breve bustine standard Nasa lo conterranno, ma le capsule le facciamo noi anche per il caffè “americano”.
Momento d’oro insomma per l’astronautica europea, anche italiana che, con Rosetta e il suo piccolo Philae sceso sulla cometa, ci ha tenuto col fiato sospeso la settimana scorsa come non succedeva da anni. Tanti gli strumenti italiani a bordo di Rosetta, una missione importante assemblata a Torino negli stabilimenti della Thales Alenia Space, dove peraltro si possono trovare oggi anche tanti altri satelliti europei in costruzione o assemblaggio, come Exomars, vicino alle capsule Cygnus dell’americana Orbital, a Turkmenspace del Turkmenistan, Sgdc del Brasile e altri, alcuni anche classificati e non visibili.
Questo conforta quel che ci dice Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, preoccupato, positivamente, che il Paese possa tenere il passo della rinata corsa allo spazio per motivi pacifici. “Il risveglio delle attività spaziali è a 360 gradi, dagli Usa con il loro formidabile impegno per la nuova capsula Orion, che marcherà le nuove imprese spaziali con astronauti Usa, alla Cina, India, Giappone ed altri. E’ un vero e proprio risveglio che ci deve vedere assolutamente in prima fila, proprio per la nostra industria e scienza che si è sempre distinta in questi 50 appassionanti anni di imprese”.
E certo non è una dichiarazione di prammatica, dato che Battiston ha presentato al governo una dettagliata richiesta per una cifra considerevole, ma certo non impossibile: 900 milioni in quattro anni per sostenere progetti importanti, come è stato Rosetta per esempio, o far evolvere CosmoSkyMed, la costellazione di quattro satelliti radar, duale con la Difesa, che “vede” anche attraverso le nubi. Un sistema unico, tutto italiano, che nei giorni passati è stato utilissimo alla Protezione Civile per monitorare i disastri provocati dal maltempo e che avrebbe bisogno di una seconda generazione. Il tutto farebbe molto bene anche all’industria nazionale. “Un euro investito nello spazio può dare un ritorno di 2 o anche 4 euro a seconda dei casi”, ci conferma Battiston.
D’altra parte l’Agenzia spaziale italiana è quella che, fra gli enti di ricerca, dove è stata inserita non senza problemi, ha avuto i maggiori tagli: 600 milioni negli ultimi sei anni. Il differenziale richiesto quindi fa meno effetto della cifra complessiva mentre fa pensare il fatto che alcune nazioni, finora rimaste ai margini per così dire, si stiano buttando alla grande nel mercato spaziale. Il Regno Unito ad esempio sta investendo alla grande, cosa che finora si era guardato bene dal fare, e una buona “regola del pollice” ci dice che quando gli inglesi fanno così c’è di sicuro da guadagnare, il loro aspetto “practical” è noto da secoli.
Asi cura anche la nuova generazione di astronauti, inquadrata nel corpo dell’Agenzia europea Esa, e che potranno anche volare con Nasa grazie a un nuovo accordo con l’agenzia statunitense. L’Italia insomma si muove a tutto campo in un settore in cui, come ci ripete Battiston, “Si vede oggi quasi una frenesia per prendere i posti migliori e soprattutto più redditizi”. Sicurezza, benessere, sviluppo dipendono sempre di più da un complesso e utilissimo sistema di satelliti attorno alla Terra e il nostro Paese ha le carte in regola per restare in pool position. “D’altronde oggi di pianeti nuovi attorno ad altre stelle se ne scoprono ogni giorno, e lo spazio serve, oltre che per sperare di arrivarci un giorno, anche per preservare al meglio l’unico che al momento possiamo abitare”