Il problema è che fino a oggi diverse importanti osservazioni non coincidevano con quella che viene chiamata l’ipotesi dell’impatto gigante. Tre recenti studi pubblicati su Nature potrebbero però rappresentare la svolta decisiva per esorcizzare alcuni di quei demoni, con un piccolo aiuto di qualche computer, di un oceano di magma volante e di una manciata di oggetti delle dimensioni di Plutone.
Ingredienti stranamente simili
Il problema più diabolico di tutti: Terra e Luna sono composti da materiali troppo simili per il classico scenario dell’impatto gigante. Se la Luna fosse formata principalmente dai frantumi di Theia, la sua composizione chimica dovrebbe somigliare a quella di questo ipotetico pianeta. E assumendo che Theia venisse da un’altra zona del sistema solare, come fanno gli scienziati, allora Theia e quindi la Luna dovrebbero essere corpi celesti con ingredienti diversi di quelli della Terra, e dovrebbero quindi avere rapporti diversi tra isotopi (atomi con un numero variabile di neutroni nei loro nuclei).
Ma quando gli scienziati hanno studiato le rocce lunari portate a casa durante il programma Apollo, hanno scoperto che gli isotopi sulla Terra e la Luna erano inquietantemente simili.
“Questa cosa è davvero misteriosa. Abbiamo questo grande modello che ci dice come si è formata la Luna, e che si adatta alla perfezione a dati veramente importanti. Però abbiamo il problema degli isotopi”, dice Bill Bottke del Southwest Research Institute.
Come spiegare, allora, le somiglianze? Secondo un’ipotesi proposta nel 2012, la Luna potrebbe essersi formata accumulando i resti terrestri dell’esplosione tra Terra e Theia piuttosto che dai residui di quest’ultima. Ora però, la ricercatrice italiana Alessandra Mastrobuono-Battisti e i suoi colleghi hanno proposto una soluzione ancora più semplice in uno degli articoli di Nature: secondo le simulazioni al computer che hanno fatto del giovane sistema solare, è molto probabile che la Terra e Theia fossero simili, perché cresciuti nello stesso quartiere.
“I pianeti che crescono nello stesso ambiente sono più propensi a scontrarsi tra di loro”, spiega Mastrobuono-Battisti, dell’Istituto Israeliano di tecnologia. Quando la sua squadra ha simulato la formazione e lo scontro di pianeti, ha visto che almeno il 20 per cento degli scontri giganti coinvolgevano pianeti simili. Venti per cento può non sembrare molto, ma è una cifra dieci volte superiore alle stime precedenti, che suggerivano che la probabilità di un tale impatto fosse irrisoria.
“Tutto d’un tratto, il gioco cambia”, dice Bottke.
Ma la teoria dell’impatto gigante non è ancora esente da qualche demone. Viene fuori, infatti, che non tutti gli elementi delle rocce lunari e del mantello terrestre sono poi identici. Uno, in particolare, è abbastanza diverso da causare problemi.
Quell’elemento è il tungsteno. O meglio, un isotopo leggero chiamato tungsteno-182. Secondo i rimanenti due studi pubblicati su Nature, le rocce lunari hanno una maggiore abbondanza di tungsteno-182 rispetto alla Terra. La differenza è così lieve, circa 25 parti per milione, che gli scienziati non riuscivano a rilevarne la presenza prima del recente sviluppo di test altamente sensibili.
La spiegazione è abbastanza semplice, dopotutto. Una volta che la Terra e la Luna si sono formate, sostengono entrambi i team di ricercatori, gli isotopi più pesanti di tungsteno sono stati consegnati dall’impatto di oggetti celesti delle dimensioni di Plutone, oggetti abbastanza grandi da causare una brutta giornata a qualcuno, ma non così grandi da creare lune in cielo. Da qui la differenza nell’abbondanza di tungsteno-182 che registriamo oggi.
Fino a quel momento, però, “la Luna e il mantello terrestre avevano identiche firme di tungsteno-182”, dice l’autore dello studio Thomas Kruijer del Westfälische Wilhelms-Universität Münster in Germania. E questo è di nuovo problema per la teoria dell’impatto gigante.
A differenza di altri isotopi come l’ossigeno, infatti, la presenza di tungsteno non può essere spiegata da fattori ambientali, da dove un corpo celeste è cresciuto. “Non ha niente a che fare con gli elementi di base dei due corpi”, spiega Richard Walker dell’Università del Maryland, autore di uno dei due studi. La presenza di tungsteno dipende da un altro dato sensibile: la quantità di tempo passata dalla formazione del nucleo di ferro di un corpo. Ed è altamente improbabile che i nuclei della Terra e di Theia si siano formati nello stesso periodo.
Un oceano di magma volante
Spiegare come il tungsteno-182 sia apparso sulla Luna e sula Terra porta quindi alla spiegazione più strana di tutte: oceani di magma volanti.
In sostanza, l’impatto gigante avrebbe generato una nube surriscaldata di polvere e gas in orbita attorno alla Terra, dice Walker. Il vorticante disco di detriti incandescenti è poi rimasto nei paraggi abbastanza a lungo da finire per scambiare materiale con il mantello terrestre. Per decine, forse centinaia o migliaia di anni, i due corpi sono rimasti in contatto cancellando le differenze chimiche tra i mondi.
Gli oceani volanti di magma e le collisioni di oggetti delle dimensioni di Plutone potrebbero spiegare l’impronta digitale di tungsteno, ma non fanno parte, purtroppo, della storia dell’impatto gigante. “Sono in uno stato confusionale. Dei tre paper pubblicati uno rende la vita più facile, gli altri la rendono più difficile”, dice Bottke. “Forse ci sta sfuggendo qualcosa. Una risposta ci deve essere”.
E in effetti una risposta c’è, ed è appesa nei nostri cieli. Ci vorrà solo ancora un po’ di tempo perché la Luna sveli tutti i suoi segreti.
Fonte National Geographic