Il corpo umano rimane ancora oggi un sistema troppo complesso per essere compreso a pieno, nonostante gli avanzatissimi strumenti utilizzati dai dottori. Tra le varie malattie che la medicina vuole prevenire, i più complicati sono sicuramente gli attacchi cardiaci. Grazie alle nuove intelligenze artificiali, però, sarà presto possibile salvare migliaia (o addirittura anche milioni) di vite ogni anno. Gli scienziati hanno infatti dimostrato che dei computer muniti di algoritmi di auto-apprendimento sarebbero in grado di comprendere e collegare i vari segnali dell’uomo in modo più efficace rispetto ai comuni medici, aumentando significativamente la probabilità di prevedere le diverse malattie cardiovascolari.
Ogni anno circa 20 milioni di persone al mondo muoiono per colpa di malattie legate al cuore come gli attacchi cardiaci, ictus, blocco delle arterie e altre malfunzioni circolatorie. Molti dottori attualmente cercano di prevedere questi effetti adottando il metodo ACC/AHA (American College of Cardiology/American Heart Association), che calcola il rischio di malattia tramite 8 fattori tra cui l’età, il livello di colesterolo e la pressione sanguigna, ma senza considerare elementi come lo stile di vita o malattie di diversa specie.
Stephen Weng, un epidemiologo dell’Università di Nottingham nel Regno Unito, spiega che un essere umano è molto più complesso di qualsiasi altra macchina o invenzione mai creata e che, pertanto, presenta molti fattori non intuitivi: il grasso del nostro corpo, ad esempio, in alcuni casi può addirittura difenderci dagli attacchi cardiaci. È stato proprio il dr. Weng ad introdurre il metodo ACC/AHA in computer con algoritmi di auto apprendimento, sfruttando come dati i registri medici di più di 370 mila pazienti del 2005 residenti nel Regno Unito per individuare delle linee guida che potessero legare le diverse cause ai problemi cardiovascolari.
Innanzitutto il gruppo di scienziati ha usato l’80% dei registri a disposizione per lasciar “studiare” le intelligenze artificiali e permettergli di costruire delle linee guida. Successivamente sono passati a prevedere quanti del rimanente 20% avrebbero avuto un attacco cardiaco nei successivi 10 anni. Sfruttando la migliore capacità di elaborazione delle macchine, gli scienziati di Nottingham hanno ampliato il metodo ACC/AHA considerando 22 ulteriori fattori come etnia, malattie renali e artriti. Come risultato, il team di Weng è riuscito a prevedere il 76% di malattie cardiovascolari, contro il 72% ottenibile da una corretta applicazione del tradizionale metodo ACC/AHA, oltre a diminuire dell’1.6% i falsi allarmi. In termini di vite umane, questo significa che quell’anno sarebbero state salvate 355 persone in più.
Il risultato di questo studio ha convinto altri scienziati che la tecnologia, in particolare i computer, devono partecipare più attivamente alle attività mediche e di ricerca. Secondo Evangelos Kontopantelis, uno scienziato dell’Università di Manchester, i risultati ottenuti sono grandiosi e potrebbero essere ulteriormente migliorati se si considerassero più dati, più algoritmi, più elementi e in generale lasciare alle macchine più tempo per apprendere e creare connessioni tra le cause.
Un altro dato interessante che emerge da questa ricerca è che lo studio di alcuni fattori come l’instabilità mentale e uso di corticosteroidi sono risultati fondamentali per prevedere le malattie, considerazioni che invece non vengono fatte secondo il classico metodo di previsione ACC/AHA. Al contrario la presenza di diabete, considerato originariamente uno dei fattori che maggiormente scaturisce malattie cardiovascolari, non è rientrato nella top 10 dei fattori decisivi del nuovo studio.
Esiste tuttavia un limite a questo nuovo metodo: Kontopantelis infatti afferma che gli algoritmi sono delle “scatole nere” dove entrano dati ed escono risultati, ma non è possibile cogliere il corretto procedimento logico e spezzettare questi processi di elaborazione. In altri termini significa che questi algoritmi sono inefficaci se applicati in altri studi che non riguardano malattie cardiovascolari.
Secondo il Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità, in Italia il 44% dei decessi avviene proprio per malattie legate al cuore, risultando la principale causa di morte nel nostro paese. La ricerca presentata dal dottor Weng potrebbe essere uno strumento valido ed economico per aumentare la previsione e di conseguenza la prevenzione.