Con il passare del tempo si avverte sempre di più la necessità di ideare memorie di archiviazione (hard disk, pendrive, sd card, ssd, cloud storage etc) che siano più capienti ma al tempo stesso più piccole. Per quanto questo concetto possa sembrare un controsenso, il significato è ovvio quando ci riferiamo al mondo dell’elettronica. Per superare la concorrenza, le aziende più importanti sono spesso presenti negli ambienti universitari per trovare e finanziare studi promettenti che siano in grado di rivoluzionare l’uso della tecnologia.
Riempire lo spazio di archiviazione dei nostri smartphone, per colpa delle troppe immagini e file multimediali in generale, diventa sempre più comune. Aumentare la densità di memorizzazione però non è semplice come si può immaginare, ma basta vedere come si sono evolute negli ultimi 10 anni le penne usb per capire che con il passare del tempo stiamo avendo dei buoni risultati: tendenzialmente il numero di atomi necessari per archiviare un singolo dato digitale diventerà sempre più piccolo ed inevitabilmente si arriverà ad usare anche un singolo atomo.
Sembra che IBM sia già riuscita a dimostrare come questa impresa sia possibile. La compagnia infatti ha codificato un bit in un singolo minuscolo atomo prima di tutti. I risultati sono stati pubblicati in una rivista scientifica chiamata Nature, dove vengono esposte alcune delle ricerche scientifiche più importanti del mondo. Secondo la pubblicazione il team si è servito dell’olmio e del suo alto magnetismo per individuare l’orientamento di un atomo grazie ad uno speciale microscopio STM. Questa caratteristica dell’atomo può essere individuata inviando al microcorpo una micro scarica elettrica – pari a circa 75millivolt – proprio tramite il microscopio. Raddoppiando il voltaggio (intorno i 150 millivolt) invece il microscopio riesce addirittura a cambiare l’orientamento dell’atomo, portandolo da testa in giù a testa in su e viceversa. È grazie a queste due posizioni che i ricercatori possono codificare i dati binari fatti di 0 e 1 grazie al singolo atomo.
Nella pubblicazione si dimostra il funzionamento della tecnica posizionando due atomi di olmio uno affianco l’altro e codificando così le quattro combinazioni possibili di dati: 00, 01, 10, 11. Questi bit sono poi stati recuperati alcune ore dopo, per verificare l’effettiva possibilità di archiviare e trasferire dati. Per il momento i ricercatori si sono limitati a depositare questi bit solo per alcune ore, ma si ritiene che tempi di archiviazione maggiore saranno raggiungibili in futuro, migliorando il processo e adottando materiali diversi.
Gli hard disk di oggi sfruttano circa 100mila atomi per memorizzare un singolo bit. La capacità di leggere e scrivere dei dati in un solo atomo apre quindi nuove possibilità per lo sviluppo di dispositivi di archiviazione mai visti fino ad ora. Un giorno ad esempio si potrà archiviare tutta la libreria di iTunes, composta da 35 milioni di canzoni, in un congegno grande quanto una carta di credito. Insomma, IBM sembra aver fatto davvero il colpo grosso quest’anno: dopo l’annuncio di commercializzare il primo computer a quanti, con quest’altra ricerca si posiziona come una delle compagnie più influenti nel campo dell’informatica per i prossimi decenni.
Il microscopio utilizzato è quello detto a effetto tunnel, che fece guadagnare ai suoi inventori Gerd Binnig e Heinrich Rohrer il Premio Nobel per la Fisica nel 1986. Il gruppo di ricerca dell’IBM invece è stato guidato dal dottore Christopher Lutz, esperto di nanostrutture, fisica, programmazione ed elettronica, nonché leader di numerose ricerche legate proprio allo sviluppo tecnologico di IBM.
Ovviamente prima di poter vedere questa tecnologia sui nostri smartphone o laptop dovranno passare ancora molti anni. I microscopi atomici sono molto grandi e pesanti, mentre l’olmio è troppo raro e delicato per essere utilizzato al di fuori dei laboratori. Il risultato però resta comunque grandioso e archiviare le proprie foto o canzoni in un singolo atomo non è detto che resti per sempre una fantasia.