Ce lo chiediamo da tempo: l’avanzare dell’intelligenza artificiale, come elemento tecnologico in costante diffusione e perfezionamento, genererà nuovi posti di lavoro per professionalità innovative o causerà una riduzione della forza lavoro umana impiegata in specifiche attività?
Il quesito è importante e le risposta non è di poco conto.
Gli studi e le analisi che cercano di fornire una risposta a questo dilemma sono numerosi, sono iniziati parecchia anni fa e si susseguono nel corso del tempo.
Uno dei primi studi in tal senso è The Future of Employment condotto da Carl Benedikt Frey e Michael Osborne dell’università di Oxford nel 2013. I risultati di tale indagine sono decisamente preoccupanti e allarmistici: secondo gli studiosi il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti sarebbe stato ad alto rischio a causa dell’automazione nel giro di un decennio o un ventennio.
Risale al 2016, invece, l’analisi condotta dal World Economic Forum battezzata The Future of Jobs secondo la quale in 13 Paesi industrializzati (fra i quali l’Italia) i posti persi fra 2015 e 2020 potrebbero essere oltre 5 milioni.
Nonostante che i dati allarmanti e le informazioni preoccupanti la facciano da padrone, esistono anche ricerche che affrontano il tema con un approccio positivo e dimostrano, con i numeri, che non bisogna temere l’evoluzione tecnologica.
Una ricerca, per esempio, sostiene che l’intelligenza artificiale potrà generare oltre 800mila posti di lavoro. L’ha preparata la società di consulenza internazionale Idc per Salesforce, il colosso del cloud computing con sede a San Francisco.
Al di là dei numeri, l’elemento più sorprendente di tale analisi è il fatto che riconosca la crescita dell’occupazione in un settore ben specifico e identificato. Il settore che trarrebbe linfa vitale dall’applicazione dell’intelligenza artificiale sarebbe quello relativo al customer relationship management. Questo settore specifico fa riferimento alla gestione della relazione con i clienti intesa nel senso più ampio possibile. Secondo Idc questi posti fioccheranno nel giro di pochi anni, entro il 2021, compensando il numero di posti persi negli altri settori.
Al di là della veridicità o meno di questa teoria, l’elemento dirompente è rappresentato dal fatto che si tratta della prima di, speriamo, una lunga serie di ricerche che guardano con positività all’introduzione dell’intelligenza artificiale in vari ambiti.
Dare una risposta al quesito con cui abbiamo aperto il tema è molto importante in quanto pensare di perdere il lavoro a causa dell’avanzamento tecnologico del proprio settore rappresenta motivo di stress per i lavoratori.
La paura di perdere il lavoro per queste cause, dice un rapporto recente di Udemy, è una delle prime ragioni di stress fra gli impiegati. Molto si capirà nel giro del prossimo anno. Stando a diversi osservatori, infatti, il 2018 sarà il giro di boa per l’adozione dell’intelligenza artificiale. Il 28% delle organizzazioni interpellate dall’indagine di Idc spiega infatti che la propria azienda ha già adottato qualche soluzione di questo tipo e un ulteriore 41% sostiene che lo farà nel giro di un paio d’anni.
Il tema sta diventando così centrale per il mercato del lavoro dei paesi, cosiddetti, sviluppati che anche i governi stanno prendendo posizione a riguardo.
Qualche tempo fa, per esempio, il segretario al Tesoro USA Steven Mnuchin ha dichiarato che a suo avviso l’intelligenza artificiale non costituirà una minaccia per i posti di lavoro statunitensi nei prossimi decenni.
Certo un punto è sicuro: siamo arrivati a un livello del dibattito in cui non ci si pongono più problemi relativi all’opportunità di un avanzamento o meno dell’intelligenza artificiale, ma si è tutti d’accordo sul fatto che il processo di sviluppo e diffusione dell’AI ha avuto inizio ed è incontrovertibile. Bisogna solo capire come rispondere.