È Wand il piccolo dispositivo Wi-Fi in grado di leggere il cervello, realizzato da un gruppo di ricercatori dell’università di Berkley e della start-up Cortera.
I ricercatori, finanziati dalla fondazione privata di Mark Zuckerberg e della moglie, Priscilla Chan, hanno già effettuato i primi test su delle scimmie e si prefiggono un ambizioso obiettivo, quello di curare tutte le malattie del mondo nel giro di una generazione.
Le prime protesi neurali
Quello delle protesi neurali è un settore che apre scenari inquietanti. L’idea stessa di un dispositivo in grado di muovere un essere umano, là dove la malattia ha reso ciò impossibile, lascia attoniti e perplessi.
In molti ricordano scenari fantascientifici dove è una terza mano, esterna, a muovere un essere umano. Se questi device fossero hackerabili, ad esempio, terze parti potrebbero manipolarlo a distanza.
Altri importanti progetti, finanziati da Elon Musk e dallo stesso Zuckerberg, mirano a comandare un computer con il cervello. Mentre, moltissime protesi, già esistenti e funzionanti, riescono ad utilizzare gli impulsi nervosi per muovere un arto bionico.
Wand, invece, è diverso da tutti gli altri ideati o teorizzati.
Il device del team di Zuckerberg
Wand ed i relativi esperimenti sono stati riportati dal Nature Biomedical Engineering, e descritto come un “pacemaker cerebrale”. Il device, infatti, sarebbe in grado di leggere il cervello e di capire quando qualcosa non va, intervenendo, comportamento analogo ad un pacemaker.
Non è la prima volta che team di ricercatori cercano un modo per interagire così profondamente con il cervello umano, ma ogni altro esperimento costringeva i pazienti ad utilizzare apparecchiature ingombranti che li tenevano confinati in una stanza.
Il dispositivo del team di Zuckerberg, invece, è praticamente invisibile ed impercettibile.
Wand è un piccolissimo device di 3 centimetri, di forma cilindrica, impiantato nel cranio di una persona (per ora solamente di un macaco). Una serie di microelettrodi registrano l’attività cerebrale in 128 diversi punti, trasmettendo, poi, i dati raccolti, ad un’unità esterna (computer).
L’attività di lettura cerebrale, la quale può essere tranquillamente eseguita anche con apparecchiature esterne, è solamente l’inizio.
Il dispositivo è in grado di retroagire direttamente, con stimolazioni mirate a sopprimere o a modificare determinati impulsi che corrono lungo la rete neurale di qualsiasi essere vivente, compreso l’uomo.
Il team
Il team di bioingegneri e neuro scienziati, finanziato da Zuckerberg, che comprende esponenti dell’università di Berkley e della start up Cortera, è stato guidato da Rikky Muller.
Rikky, ricercatrice dell’università e co-fondatrice della start up, è stata anche inserita dal MIT nella lista degli scienziati under 35 più promettenti.
“Questo dispositivo può essere realmente innovativo, perché il soggetto è completamente libero di muoversi e la macchina può capire da sola quando e come interferire con i movimenti.
Un giorno potrebbe avere applicazioni per una serie di malattie che colpiscono i movimenti, inclusi i traumi della spina dorsale e l’epilessia”, dice la Muller.
L’esperimento
Il primo esperimento è stato un successo. Il test ha visto coinvolto un macaco di nove anni, al quale è stato impiantato il dispositivo. La scimmia doveva muovere un joystick per ottenere una ricompensa, azione che aveva già compiuto diverse volte.
Wand, però, è stato impostato per cogliere esattamente l’attimo in cui la scimmia sta per sollevare la zampa con l’intenzione di raggiungere il joystick. La scimmia non è consapevole del dispositivo impiantato nel cranio, semplicemente si trova impossibilitata ad alzare la zampa.
Implicazioni pratiche
Ma dal bloccare il movimento di una scimmia a curare tutte le malattie ci vuole ancora parecchio, quali sono quindi le implicazioni pratiche? Presupponiamo di dover interagire con due pazienti, uno affetto da Parkinson e l’altro da Epilessia.
Nel primo caso c’è rigidità, mentre nel secondo spasmi e movimenti rapidi e scomposti. Il dispositivo può essere programmato per capire quali aree del cervello si attivano in quel determinato momento e correggere i movimenti inconsulti della malattia con parametri più “normali”.
Il problema sorto, che ormai colpisce diversi settori tecnologici, è quello della privacy. Sanitari e tecnici avrebbero, infatti, pieno accesso alla rete neurale del paziente.
Senza contare il rischio, come detto, di hackeraggio. Per questo si pensa di introdurre nuovi diritti e tutele per regolamentare la vita interiore delle persone.
Il team e lo stesso Zuckerberg, sono comunque, orgogliosi, del loro dispositivo, che per il momento risulta essere il migliore ed il più promettente del suo genere, e speranzosi che un giorno esso possa correggere tutte le malattie odierne.
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