La plastica è uno dei nemici numero uno del nostro futuro. Un grande inquinante che si riversa nei mari e negli oceani e che li rimane per secoli, prima di potersi decomporre, forse nemmeno del tutto. In molti pensano alle soluzioni, che arrivano da ogni dove e di ogni tipo. Un ulteriore aiuto arriva ora dai satelliti che scandagliano gli oceani e trovano la plastica, supportati, ovviamente dall’intelligenza artificiale.
Come rilevare la plastica negli oceani
La plastica negli oceani è uno dei più grandi problemi della civiltà moderna. Rilevarla e ripulire le acque è un lavoro colossale e quasi impossibile. La maggior parte della plastica, infatti, finisce sul fondo o si decompone in microplastiche e particelle impossibili da individuare. Il lavoro di chi si è posto come obiettivo quello di ripulire i mari diventa quindi incredibilmente difficile.
Ogni anno finiscono in mare 10 milioni di tonnellate di plastica che hanno effetti devastanti sull’intero ecosistema. Molta di questa plastica finisce con ledere gravemente la salute delle specie animali, fino a portarli in alcuni casi alla morte. Moltissime microplastiche, inoltre, vengono ingerite dai pesci, arrivando fino alle nostre tavole. Secondo gli esperti, continuando così, entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci negli oceani.
Il programma Copernicus
Il programma Copernicus, promosso dall’Agenzia Spaziale Europea e dall’Unione Europea. Si tratta di una serie di satelliti Sentinel, che controllano acque e terre del nostro pianeta, per fornire informazioni utili per salvaguardarli.
“I dati aggiuntivi aiuteranno a migliorare la nostra comprensione dei cambiamenti del livello del mare, dell’inquinamento marino e della produttività biologica. Fornirà inoltre informazioni sulla diffusione di incendi boschivi, uso del suolo, stato della vegetazione e livelli di acqua nei laghi e nei fiumi”.
I satelliti Sentinel danno la caccia ai rifiuti dal 2017, creando una vera e propria mappa dei rifiuti oceanici.
“Sentinel 3B ha tre tipi di sensori diversi che consentono il monitoraggio del livello del mare, della temperatura della superficie del mare e di ciò che chiamiamo il colore dell’oceano, che aiutano a caratterizzare il contenuto biogeochimico dell’oceano”. È proprio quel colore il primo campanello d’allarme della presenza di plastica.
L’intelligenza artificiale a caccia di plastica
Le osservazioni dei satelliti Sentinel vengono inviate all’intelligenza artificiale, che è in grado di riconoscere frammenti di plastica più grandi di 5 millimetri, riuscendo a distinguerla da altri elementi galleggianti naturali, come alghe o pezzetti di legno.
Da quando sono stati attivati ad oggi sono stati fatti numerosi esperimenti in diverse aree inquinate del mondo, dal porto sudafricano di Durban, alla costa greca di Mitilene, da Accra in Ghana, alle isole San Juan in Canada, raggiungendo una precisione, a seconda delle zone dal 86% fino al 100%.
Il sistema potrebbe essere molto utile dato che al momento molti degli oggetti galleggianti identificati finiscono per risultare essere innocui materiali naturali.
Ripescate 40 tonnellate di plastica
La scorsa estate, grazie all’utilizzo combinato di droni, satelliti e intelligenza artificiale, la spedizione Ocean Voyage Institute ha recuperato ben 40 tonnellate di plastica dall’oceano, un record. Si presume che i rifiuti che vagavano nell’oceano si erano staccati dal Great Pacific Garbage Patch, l’incredibile e terrificante isola di rifiuti del pacifico.
Ci sono voluti 25 giorni per completare con successo la più grande missione di pulizia degli oceani mai compiuta. La missione era incentrata sulle ghost nets, immense reti da pesca che intrappolano altri rifiuti divenendo un grande pericolo per gli abitanti dei mari. L’Ocean Voyage Institute ha recuperato durante la missione una rete dal peso record di 8 tonnellate.
“È alquanto disturbante solcare quello che una volta era un oceano selvaggio e incontaminato e trovarlo pieno di spazzatura fin troppo familiare. Sono necessarie azioni urgenti a tutti i livelli: bisogna limitare la produzione di materie plastiche usa e getta, evitare che la spazzatura entri negli oceani, veicolare contenuti d’istruzione, innovazione, prevenzione e pratiche di pulizia su larga e piccola scala alle popolazioni, alla società e all’industria marittima. La domanda che dobbiamo farci è: siamo pronti a fare della protezione del 72% del pianeta una nostra priorità?”, si domanda Mary Crowley, fondatrice di Ocean Voyage Institute.
This post is also available in: