26 Aprile 1986, una data che il mondo non potrà mai dimenticare. Parte da Chernobyl il disastro nucleare peggiore di tutta la storia dell’umanità. Dopo un paio di giorni si cominciano a contare le vittime in tutta Europa. Vittime che continuano a perire ancora oggi, dopo più di 30 anni, e che continueranno anche negli anni a venire. Ma la natura trova sempre una via per sopravvivere, resistere e adattarsi. È così che, mentre la maggior parte delle forme di vita sono state annientate, per chilometri dalla centrale nucleare, altre sono sopravvissute. Addirittura sembrano aver trovato l’habitat naturale per proliferare e anziché perire sotto le radiazioni essi se ne nutrono. Come il Cladosporium sphaeorspermum, o più semplicemente il fungo di Chernobyl. Una scoperta che potrebbe avere dei risvolti davvero interessanti. Esso potrebbe, infatti, essere utilizzato per proteggere gli astronauti dalle radiazioni cosmiche.
Il fungo di Chernobyl
Se c’è una lista dei luoghi più inospitali del mondo, le vasche di raffreddamento della centrale nucleare di Chernobyl è senza dubbio tra quelli. E niente potrebbe sopravvivere in quel luogo inospitale, con le radiazioni che uccidono ogni forma di vita, o quasi.
C’è chi, invece, di quelle radiazioni ci si nutre, trasformando la radioattività in energia per il proprio sostentamento. Questo tipo di funghi (perché sono diverse specie in realtà) erano stati scovati già una trentina di anni fa (giusto qualche anno dopo l’incidente nucleare più grave della storia dell’umanità) nei dintorni e perfino all’interno della centrale nucleare di Chernobyl.
Questi funghi si nutrono attraverso un processo chiamato radiosintesi. I raggi gamma, pericolosissimi per l’uomo e per quasi tutte le specie viventi del pianeta terra, vengono assorbiti dal fungo, grazie alla melanina, e convertiti in energia chimica.
I superpoteri del fungo di Chernobyl
Alcuni di questi funghi sono stati inviati sulla Stazione Spaziale Internazionale per essere coltivati e studiati attentamente. La coltivazione in microgravità è stato un successo. Ma il vero scopo dell’esperimento era testare i suoi “superpoteri”.
L’idea è quella di utilizzare i funghi per creare uno scudo per le navicelle spaziali che verranno utilizzate per esplorare lo spazio profondo.
Quando usciremo dal campo magnetico terrestre non saremo più “protetti” e allora si cerca urgentemente una soluzione per le future missioni con equipaggio umano su Marte o sulla Luna.
I ricercatori che hanno condotto lo studio sono quelli dell’Università del North Carolina, di Stanford e del Nasa Ames Research Center.
I “superpoteri” del fungo di Chernobyl sono incredibili, secondo i ricercatori, che affermano che esso possa essere brillantemente utilizzato nelle missioni spaziali.
La prova a bordo della Stazione Spaziale Internazionale
“Durante un anno, in media, una persona sulla Terra è esposta a circa 6,2 millisievert, mentre un astronauta sulla Stazione Spaziale Internazionale (che è protetto dall’abbraccio del campo magnetico terrestre ma non dell’atmosfera) è esposto approssimativamente a 114 mSv. Su una missione di tre anni, in un anno, un astronauta sarebbe esposto a circa 400 mSv, principalmente da radiazione cosmica galattica”.
Urge quindi una soluzione affinché gli astronauti possano esplorare lo spazio profondo in tutta sicurezza.
Il primo step è stato portare il fungo di Chernobyl sulla ISS. Secondo gli scienziati uno strato di appena 1,7 millimetri, nel corso di un mese, ha ridotto i livelli di radiazione dall’1,8 al 5,4%.
Uno strato di 21 centimetri potrebbe annullare le radiazioni ambientali sulla superficie di Marte. Mentre uno scudo di nove centimetri in un miscuglio di melanina e regolite marziana basterebbe ad evitare le conseguenze dell’esposizione prolungata alle radiazioni.
Lo scudo contro le radiazioni cosmiche
Uno scudo realizzato con il fungo di Chernobyl sarebbe quindi una soluzione perfetta per contrastare i pericoli derivanti dalle radiazioni cosmiche.
L’idea è quella di creare basi stabili sulla Luna e su Marte, in futuro, con una permanenza prevista di diverse settimane per gli astronauti. E in futuro, si prevede, di realizzare vere e proprie colonie con un presidio stabile.
Bisogna quindi trovare una soluzione pratica per realizzare uno scudo sottile ma efficiente. L’acqua è un buon isolante, ma il progetto è troppo dispendioso. Ogni carico di acqua da lanciare nello spazio costa migliaia di dollari al chilo.
I funghi, invece, possono essere coltivati in loco. Come visto dall’esperimento sulla Stazione Spaziale Internazionale, che li ha coltivati in microgravità. La possibilità di essere mischiato, poi, con la polvere marziana o lunare rende il tutto ancor più fattibile.
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