Sentendo parlare di topi spaziali, ai nostalgici che sono cresciuti negli anni ’80 torneranno subito in mente i Biker Mice da Marte. Il cartone animato con protagonisti topi alieni motociclisti è stato un vero cult della sua epoca. Ma la notizia che sta circolando nel mondo scientifico in questi giorni riguarda dei topi spaziali un po’ diversi.
L’Università di Yamanash, in Giappone, ha infatti annunciato la nascita di 168 cuccioli da ovuli fecondati con spermatozoi che erano rimasti per sei anni sulla Stazione Spaziale Internazionale.
E’ solo uno dei numerosi progetti di ricerca che si svolgono a bordo dell’ISS. Ma i risultati, in questo caso, hanno superato le aspettative degli scienziati stessi.
Quando la liofilizzazione incontra la criogenia
L’esperimento dei topi spaziali fa parte di uno studio a cura del professor Wakayama Teruhiko e del suo team di ricercatori. L’obiettivo della ricerca era indagare gli effetti delle radiazioni cosmiche sugli spermatozoi di topo, custoditi a bordo della ISS.
Proprio come l’acqua, però, anche lo sperma di topo non poteva essere presente nello spazio in forma liquida. Prima di partire alla volta della Stazione Spaziale Internazionale, gli spermatozoi sono quindi stati disidratati. A questo punto era però necessario mantenerli in vita fino al rientro sulla terra.
La soluzione degli scienziati giapponesi è stata una via di mezzo fra la liofilizzazione e la criogenia. Il passo successivo è stato quello di “ibernare” gli spermatozoi disidratati, conservandoli a temperature bassissime per tutta la permanenza sulla ISS.
Restava da capire se, al rientro sulla Terra, gli spermatozoi fossero ancora fertili. Gli scienziati li hanno quindi reidratati e hanno provato a usarli per fecondare degli embrioni in vitro. Il risultato? La nascita di 168 topi spaziali, come li ha soprannominati la stampa.
Come nascono i topi spaziali?
L’esperimento dell’Università di Yamanash è iniziato nel 2013. Gli spermatozoi disidratati provenivano da un campione di topi da laboratorio, dodici esemplari maschi. A quel punto gli spermatozoi sono stati suddivisi in quarantotto provette, trasportate poi sulla Stazione Spaziale Internazionale.
La prima tranche di ampolle è rimasta nello spazio per nove mesi, lo stesso tempo necessario a una gravidanza umana. Al rientro, gli spermatozoi presentavano tracce di danni alla struttura molecolare. Nonostante il DNA danneggiato, è stato comunque possibile utilizzarli per fecondare gli ovuli.
Una seconda tranche di spermatozoi è rientrata sulla Terra solamente dopo due anni e nove mesi. Le ultime provette, invece, hanno trascorso ben sei anni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Tutti e tre i gruppi di campioni hanno portato alla nascita di una progenie di “topi spaziali” vivaci e in buona salute. A giudicare dai primi esami, le tre nidiate di “Biker Mice dalla ISS” non presentano differenze dai comunissimi topi terrestri. La fertilità degli spermatozoi non ha risentito del soggiorno nello spazio. E anche il rapporto fra nascituri maschi e femmine rispecchia le percentuali delle nascite classiche.
Ma non basta. Dai risultati dell’esperimento, gli scienziati hanno stabilito che la sopravvivenza degli spermatozoi potrebbe durare molto di più. Secondo il team del professor Teruhiko, infatti, sarà possibile conservare sperma disidratato nello spazio anche per duecento anni.
Gli obiettivi della ricerca sui topi spaziali
Ma perché si parla tanto dell’esperimento dei topi spaziali? In cosa risiede la sua importanza?
L’obiettivo era verificare se le radiazioni cosmiche potessero intaccare la fertilità dello sperma. Infatti la Stazione Spaziale Internazionale è esposta a radiazioni molto superiori a quelle che riescono ad arrivare sulla Terra.
Al di fuori del campo magnetico del pianeta, poi, l’intensità delle radiazioni cosmiche è addirittura maggiore. Ma stabilirne gli effetti sulla fertilità a breve, medio e lungo termine rappresenta una sfida che avrà ripercussioni anche sul futuro dell’umanità.
Infatti uno degli obiettivi dell’esplorazione spaziale è capire in quali modalità sarà possibile colonizzare gli altri pianeti del Sistema Solare. Basti pensare al numero sempre maggiore di missioni lunari; in questo articolo vi abbiamo parlato di come anche l’ESA si sia unita alla “corsa alla Luna”. Fra i pianeti papabili per ospitare vita futura c’è anche Marte, già considerato da molti come il “Nuovo Mondo“.
La colonizzazione di altri pianeti però non può prescindere dalla conoscenza degli effetti che le radiazioni cosmiche potranno avere sul corpo umano. Solo studiando tutti gli eventuali fattori di rischio sarà possibile sviluppare nuove strategia di sicurezza. Permettendo così, agli uomini del futuro, di viaggiare nello spazio senza pericoli. Ecco perché la nascita dei topi spaziali apre nuovi orizzonti alla ricerca, e nuove prospettive per la conquista dei cieli.
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