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Oggi parliamo di dismorfia da schermo frontale, ovvero come Zoom (ma anche altre piattaforme di condivisione schermo) abbia trasformato le persone negli ultimi anni post Covid-19.
Zoom: deforma l’immagine di noi stessi?
A quanto pare l’utilizzo in smart working delle videocamere frontali ha reso l’immagine di noi stessi distorta. Zoom in particolare, forse perché la più utilizzata tra le piattaforme di condivisione schermo, ha portato negli ultimi 18 mesi le persone ha vedersi diverse allo specchio.
In molti si sono rivolti al chirurgo plastico o estetico per correggere quei difetti che, a lungo andare mostrandosi in camera frontale, si sono visti durante le call.
Se i nostri incontri di lavoro, studio, o piacere fossero rimasti come una volta, vis a vis forse non sarebbero nate tutte queste problematiche di dismorfia da schermo frontale.
Dismorfia da schermo frontale
Il dato è allarmante: alla riapertura degli studi medici di chirurgia e medicina estetica, ma anche di dermatologia e chirurgia plastica la scorsa estate c’è stato un picco di richieste per risolvere problematiche inerenti il viso.
Un trend che ha portato i medici a formulare l’ipotesi che lo stare continuamente di fronte alla videocamera del proprio pc, lavorando in smart working con i colleghi tramite Zoom, abbia portato le persone a vedersi con occhi diversi e a focalizzarsi sui loro difetti facciali.
Zoom e lo studio di Harvard
Successivamente a questi fatti, ad Harvard è stato condotto uno studio in merito. Una ricercatrice della Facoltà di Medicina del noto polo universitario americano – la dott.ssa Kourosh – ha svolto ricerche importanti legando il fattore psicologico all’aumento di interventi di chirurgia plastica in determinate fasce d’età.
Alla domanda: Perché hai deciso di sottoporti a questo intervento? Molte delle persone intervistate per lo studio hanno risposto che vedersi durante le videoconferenze, o durante le videochiamate su Zoom, gli ha dato la possibilità di studiarsi a fondo e di vedere i difetti che prima passavano quasi inosservati.
Di fatto, fissare tutto il giorno il proprio viso su uno schermo frontale ha creato un vero e proprio rapporto conflittuale con il proprio corpo e con la propria immagine.
Ecco come nasce il termine “dismorfia da Zoom”.
Come ci vediamo di fronte allo schermo?
La nostra immagine di fronte alla camera interna del pc o dello smartphone ci preoccupa. Durante la conversazione, più che concentrarci sul nostro interlocutore, ci concentriamo sul nostro mento, sulla ruga d’espressione che si crea al centro della nostra fronte. Iniziamo a credere di aver bisogno di un aiutino per migliorare il nostro viso.
Ci raccontiamo che botox, filler e lifting facciali sono la soluzione per risolvere questi piccoli difetti, che in realtà definiscono la nostra immagine, più che renderla negativa.
Nonostante si stia ricominciando mano mano a frequentare gli uffici e le scuole, questa tendenza non accenna a smettere, perché le videocall sono ormai all’ordine del giorno, anche solo per sentirsi con gli amici o con il fidanzato a fine serata.
Prima di Zoom c’era Snapchat
Non è la prima volta che sentiamo parlare di dismorfia o dipendenza da schermo frontale. Prima di Zoom c’è stata la dismorfia da Snapchat.
Un termine che venne coniato nel 2015 quando il social dei filtri fotografici era all’apice della sua fama. All’epoca, con il termine si intendeva descrivere l’andamento (in aumento) degli individui che avevano il desiderio di apparire nella realtà come apparivano con il filtro del social.
Una questione vecchia come il mondo
Non è comunque una novità che l’uomo abbia problemi con il proprio corpo e con la propria immagine. Piano piano, con il susseguirsi delle epoche e con il cambiamento sempre più repentino della società e dei suoi schemi, ognuno di noi ha iniziato a vedere la propria immagine distorta rispetto alla realtà.
In passato si andava dal chirurgo per rifarsi il naso come Penelope Cruz o il mento e gli zigomi come quelli di Cameron Diaz. Adesso ci rapportiamo direttamente con noi stessi.
Invece di voler somigliare a qualcuno, abbiamo bisogno di tentare il tutto per tutto per essere la versione migliore di noi (e non è un mantra motivazionale).
Questo dimostra quanto si siano evoluti non solo tecnologia ed ingegno umano, ma anche i suoi problemi sociali e psicologici con il proprio IO.
I social e le piattaforme di condivisione come Zoom ci hanno messo di fronte ad una realtà dura da accettare: siamo unici ed invecchiamo. Ci modelliamo con il tempo e invece di accettarci cerchiamo il modo di tornare indietro, ringiovanire o meglio essere diversi da come eravamo.