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Sapevate che il nostro cervello utilizza il ricordo per creare un archivio mentale delle esperienze? In questo articolo vediamo come funziona questo sistema di classificazione per capire i meccanismi più inconsci della nostra memoria. Obiettivo? Affrontare patologie degenerative della nostra materia grigia, una tra tutte l’Alzheimer.
Ricordo e cervello umano
Tutti noi, da una certa età in poi, iniziamo a ricordare. Alcuni di noi iniziano a dimenticare le cose e le esperienze presto. Altri ricordano alcuni avvenimenti per sempre nei minimi dettagli.
Come fa il cervello umano a separare, archiviare e recuperare il ricordo? Un gruppo di ricercatori ha deciso di studiare questo aspetto della nostra mente e ha scoperto che ci sono due tipi di cellule che riescono a separare i ricordi. Per questo alcune cose le ricordiamo e altre no: il nostro cervello decide cosa mostrarci a lungo termine e cosa archiviare perché poco utile alla nostra vita quotidiana.
Una scoperta fantastica
Questa scoperta ci aiuta a capire sempre meglio il nostro cervello. Siamo in grado di organizzare la nostra memoria e riutilizzare le esperienze positive e negative come meglio ci serve per migliorare il nostro operato.
La cosa interessante è che con questa scoperta si potranno studiare anche alcuni disturbi della memoria come la malattia di Alzheimer, con l’obiettivo di trovare un sistema per guarire coloro che ne sono affetti.
Infatti, lo studio realizzato dalla Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies Initiative dei National Institutes of Health statunitensi ha reso noto un metodo per schematizzare il meccanismo del pensiero che utilizza il ricordo come strumento per l’acquisizione di esperienza. Cosa significa? Lo vediamo meglio nel prossimo paragrafo.
Ricordo e neuroscienza
Lo studio ha messo in luce una qualità del nostro cervello, ovvero che durante lo stato di veglia un essere umano realizza pensieri di ogni tipo, che costituiscono un’esperienza continua di ciò che gli accade giorno per giorno.
Da quando nasciamo fino alla nostra morte acquisiamo di continuo informazioni che ci rendono quelli che siamo. Si tratta di intelligenza che accresce anche il volume del nostro cervello e ci suggerisce determinati comportamenti e risposte.
In sostanza, neuroscientificamente parlando, il nostro cervello attua quella che viene definita segmentazione degli eventi. In pratica, ogni volta che facciamo qualcosa di nuovo e conosciamo cose e persone nuove il cervello divide l’informazione in più parti e la immagazzina in un archivio fatto come quello di ufficio vecchio stile per cassetti.
Come sviluppare questa attività?
I malati di Alzheimer, utilizzando alcuni metodi specifici, potrebbero diminuire l’avanzare della malattia, andando a crearsi un archivio alternativo di scorta che li salvi nei momenti in cui hanno un attacco di “dimenticanza”.
L’allenamento costituisce in questi casi il 60/70% del lavoro. Un lavoro che insieme ai farmaci potrebbe aiutare coloro che soffrono di questo morbo a migliorare il loro stato di vita attuale.
Uno dei metodi più utilizzati per stimolare il ricordo è quello che utilizza le analogie e le foto per andare far connettere il cervello al cassetto dedicato a quell’evento o esperienza.
Foto che stimolano la memoria
Alla base di questo metodo delle foto c’è la volontà di stimolare la memoria e i suoi confini. Vedere qualcosa di familiare spinge chi non ricorda ad attivare il cervello per dargli l’informazione che cerca.
Un pò come quando sentite un odore che vi dice che siete in un posto in cui siete già stati. Oppure come quando sentite un motivetto alla radio e vi ricorda qualcosa che avete già ascoltato in passato o proprio un momento del passato.
Una sensazione di déjà-vu che spesso per queste persone vuol dire ossigeno puro: vuol dire sentirsi di nuovo parte della società in cui vivono, dove la memoria è conditio sine qua non per essere parte di un gruppo o di un contesto.