L’Oceano e i suoi abissi nascondono tantissimi segreti. Sicuramente uno degli ambienti più enigmatici ed inaccessibili del pianeta. Sebbene le profondità del mare coprano la maggior parte della superficie terrestre, rimangono in gran parte inesplorate. Negli ultimi anni, tuttavia, le ricerche sui fondali oceanici hanno portato alla luce scoperte sorprendenti, una delle quali riguarda i noduli polimetallici e un fenomeno noto come “ossigeno oscuro”.
Cosa sono i noduli polimetallici?
Partiamo dalle definizioni. I noduli polimetallici sono concrezioni minerali che si formano sul fondo degli oceani, spesso a profondità che superano i 4.000 metri.
Questi agglomerati, delle dimensioni che variano da pochi millimetri a diversi centimetri, sono composti principalmente da manganese, ma contengono anche quantità significative di altri metalli preziosi come nichel, rame, cobalto e, più recentemente, litio. Questi metalli sono di fondamentale importanza per diverse industrie moderne, in particolare per la produzione di batterie ricaricabili, turbine eoliche e dispositivi elettronici.
Qui entra in scena il protagonista del nostro articolo di oggi. Uno studio condotto dalla Scottish Association for Marine Science, recentemente pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, ha rivelato che i noduli polimetallici non sono solo una preziosa fonte di minerali, ma anche protagonisti di un fenomeno finora sconosciuto, ovvero la produzione di “ossigeno oscuro”.
Il termine con cui è stato nominato il fenomeno si riferisce ad un tipo di ossigeno prodotto in condizioni estreme, senza la presenza di luce solare. Questo fenomeno è stato osservato nelle profondità oceaniche, dove la luce solare non arriva e la fotosintesi, il processo tradizionalmente associato alla produzione di ossigeno, non può avvenire.
La scoperta è sorprendente, poiché fino a poco tempo fa si riteneva che l’ossigeno negli oceani fosse prodotto principalmente dalle alghe fotosintetiche presenti in superficie.
Il ruolo dei noduli nella produzione di ossigeno oscuro
Secondo la ricerca, i noduli polimetallici agiscono come catalizzatori per la produzione di ossigeno oscuro. In particolare, sembra che questi agglomerati stimolino reazioni chimiche con l’acqua circostante, producendo ossigeno in modi che non erano stati precedentemente considerati.
Le reazioni chimiche che coinvolgono i noduli polimetallici potrebbero essere influenzate dalle condizioni estreme presenti nelle profondità oceaniche, come la pressione elevata e la bassa temperatura. Queste condizioni potrebbero facilitare processi di ossidazione che portano alla liberazione di ossigeno dall’acqua, creando una forma di ossigeno che non è legata ai processi fotosintetici.
Implicazioni ecologiche e geochimiche
La scoperta di questo fenomeno ha implicazioni ecologiche e geochimiche importanti. Ci aiuta a capire meglio gli ecosistemi marini profondi e i cicli biogeochimici globali.
Gli scienziati ritengono che questo ossigeno potrebbe svolgere un ruolo cruciale nella sostenibilità della vita nelle profondità oceaniche, dove l’ossigeno è scarso e le forme di vita devono adattarsi a condizioni estreme.
Inoltre, la produzione di ossigeno oscuro potrebbe influenzare il ciclo globale dell’ossigeno e avere effetti significativi sul clima e sugli ecosistemi terrestri. Gli oceani profondi sono un vasto serbatoio di carbonio e altre sostanze chimiche, e i processi che avvengono in queste aree remote potrebbero avere ripercussioni su scala globale.
Impatto dell’estrazione mineraria sottomarina sull’ossigeno oscuro
Con l’aumento della domanda di metalli rari, l’estrazione dei noduli polimetallici dai fondali oceanici è diventata un tema di grande interesse per l’industria.
Tuttavia, la scoperta dell’ossigeno oscuro solleva importanti questioni ambientali. Gli scienziati temono che l’estrazione di questi noduli potrebbe disturbare gli ecosistemi profondi, interrompendo i processi chimici naturali che contribuiscono alla produzione di ossigeno oscuro.
L’estrazione mineraria sottomarina potrebbe avere conseguenze impreviste non solo per le specie marine che abitano queste aree, ma anche per il ciclo globale dell’ossigeno e del carbonio. Gli scienziati sottolineano quindi la necessità di ulteriori ricerche prima di avventurarsi nell’estrazione su larga scala. È essenziale comprendere appieno i potenziali impatti ecologici e geochimici di questo fenomeno per evitare di causare danni irreversibili agli ecosistemi marini profondi.